Dopo sole sette ore di autobus per percorrere 160km arriviamo a Sreemangal, nel nord-est del Bangladesh. I giorni nella capitale Dacca sono stati faticosi, siamo ora alla ricerca di una natura incontaminata, di colori vivi, tregua e pace.
Incontriamo Nurul, che sarà il nostro autista per i prossimi quattro giorni. Il suo piccolo e verdissimo CNG diventerà la nostra seconda casa e ci porterà a scoprire i luoghi nascosti in questa giungla bengalese. Non è ancora chiaro come, ma riusciamo a far capire a Nurul che non siamo interessati a trascorrere molto tempo nei luoghi più turistici (anche se qui di turismo con l’eccezione occidentale non si può parlare) dove potremmo incontrare solo i ricchi abitanti di Dacca in gita.
Gli spieghiamo che siamo curiosi di scoprire la vita vera del posto, entrare in contatto con la popolazione locale, inoltrarci nelle foreste più fitte.


È così, quindi, che arriviamo in un piccolo villaggio in cima ad una bassa collina nel bel mezzo della giungla. La vegetazione è lussureggiante, siamo circondati da una natura tropicale mentre poco più in basso si estendono numerose piantagioni di tè.
Per quanto sperduto e povero, questo villaggio è un posto con una sua dolcezza. Molto più vivibile della città verso cui tutti continuano a scappare per cercare sicurezza e lavoro.
Incontriamo gli abitanti di questo angolo di foresta, appartengono tutti ad una minoranza cristiana che si chiama Khasia. Questo popolo, di etnia mongola, arrivò dal Tibet circa 500 anni fa e si insediò nelle zone che oggi sono di confine tra Bangladesh e India. Il sistema sociale di questa etnia è il matriarcato: per questo motivo la donna gioca un ruolo molto significativo negli affari socio-economici e nella gestione famigliare. 

Appena entrati nel villaggio percepiamo un’atmosfera tranquilla e rilassata, donne e uomini si occupano della lavorazione delle foglie per il paan, mentre bambine e bambini – a casa per le vacanze scolastiche, danno una mano o giocano a badminton.
Il “paan” è una preparazione a base di foglie di betel e noce di areca tipica del sud est asiatico. E’ una sorta di droga, masticando questa preparazione si hanno infatti sensazioni inebrianti ed effetti anestetici. Può, però, oltre che provocare i denti rossi, deteriorare le gengive e causare cancro alla bocca. Ci sono diverse variazioni del paan, qui la maggior parte delle persone la mastica con del tabacco e con la calce spenta, una sorta di colla bianca che serve a chiudere la foglia.
C’è un uomo che si arrampica sull’albero di betel con la maestria di un bradipo. Rimaniamo affascinati dalla leggerezza con la quale sale lungo il tronco. Arrivato in cima, ne raccoglie le foglie più belle, per poi portarle alle donne del villaggio che le laveranno e le ragrupperanno a mucchietti pronti per essere venduti nei bazar.

Dopo una partita a badminton tra ragazze, continuiamo il giro del villaggio che si sviluppa a cerchio in cima alla collina.
Il fulcro nevralgico di questo agglomerato di casette è la piazza sterrata centrale con una piccola Chiesa che stanno finendo di dipingere di fucsia. 
Sbirciamo curiosi dentro la casa che si affaccia sul sentiero principale: dentro cinque o sei donne sono intente a cucinare al buio, protette dal sole caldo e dalle forti piogge che caratterizzano queste aree.
Nonostante le difficoltà linguistiche, con l’aiuto di alcune ragazze che studiano l’inglese a scuola, riusciamo a capire che la comunità Khasia è stata minacciata dal governo Bengalese ed “invitata” a lasciare le zone da loro abitate e spostarsi altrove per lasciare spazio all’espansione delle piantagioni di tè. Questo, oltre ad avere conseguenze traumatiche sulla popolazione, andrebbe ad incidere pesantemente anche sull’ambiente, in quanto l’estensione della coltivazione del tè andrebbe a distruggere il terreno della foresta. Stiamo iniziando a capire che in Bangladesh la lista dei problemi è infinita e uno non saprebbe da dove iniziare per risolverli.
Ogni problema nasconde una storia, un aneddoto e delle vite che resistono, noi siamo qui per questo.

Al nostro passaggio donne  e uomini continuano a girarsi, parlottano, ridono e commentano.
Mi piacerebbe tanto sapere cosa dicono e invece devo accontentarmi dei loro sguardi.
Sguardi curiosi, come i nostri, ci si osserva a vicenda, si sorride, si fanno dei cenni con la testa, ci si sfiora le mani e poi si va avanti, ciascuno intento nel proprio lavoro.

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