Siamo a Venezia sull’isola di San Servolo e Simon Messner è appena stato presentato alla stampa come atleta ufficiale del gruppo Salewa – Oberalp.
L’evento si è svolto in laguna attorno a quella che è diventata un’installazione della Biennale d’Arte, infatti il Bivacco Günther Messner è adesso un simbolo che vuole tradurre qualcosa di storico in futuro e proporsi come binomio tra radici e innovazione oltre che la rappresentazione di una terra di passaggio e di scambio non solo alpino.
Un luogo d’accoglienza a cavallo tra un mondo fatto di oceani e montagne, un ennesimo invito verso il superamento dei confini e dei pregiudizi di oggi.
Il bivacco come sogno di semplicità che porta con sé l’essenzialità di un piccolo spazio; il ridurre al minimo è infatti anche la filosofia dell’alpinista, con quella perenne ricerca dell’intimo, della riflessione personale, ma anche del bivacco come riparo, rifugio e spazio d’incontro. Eliminare il peso inutile, semplice metafora che funge da motore di grande valore per organizzare al meglio e con la giusta consapevolezza il proprio tempo libero.

Rosso sbiadito e con i segni dell’età il bivacco Messner fa da cornice a questa conferenza stampa all’aria aperta, si confonde sullo sfondo, sembra a suo agio immerso tra i tigli, gli ulivi e piccoli alberi da frutto che popolano questa splendida isola della laguna. Con un po’ di immaginazione lo si riporta facilmente in quota al limitare di un piccolo bosco in una radura sotto roccia.
Nel frattempo Simon sorride e annuisce spesso alle domande che gli vengono rivolte, non è di certo un gran chiacchierone, è lui stesso ad ammettere che preferisce esprimersi con i fatti più che con tante parole. Si considera alpinista al 50%, perché è soprattutto videomaker. Lavora con il papà nella realizzazione di film e documentari, ma con un battuta dice che nella vita si può sempre cambiare direzione. Confessa poi che il papà Reinhold inizialmente faceva fatica ad accettare le sue avventure in montagna, lo voleva proteggere, limitarlo nella pratica di un alpinismo di tipo esplorativo è spesso  troppo pericoloso. Allora lui, per essere più agile ha imparato a raccontare le sue “scappatelle” solo una volta tornato a casa senza farsi troppa pubblicità.

I giornalisti da qualche minuto hanno lasciato l’isola e Simon si può finalmente rilassare dopo la girandola delle singole interviste. Siamo rimasti in “famiglia”, tra coetanei, del gruppo Salewa ci sono Marta e Arno i responsabili marketing, oltre a me e Glorija che abbiamo curato le foto dell’evento. Simon si siede tra noi, accavalla le gambe, beve dell’acqua fresca da una bella borraccia blu e pesca nel suo zainetto arancione una busta di tabacco beige. Con calma si rolla una sigaretta e l’accende, aspira, capiamo tutti che è il suo momento di pace. Non ama stare al centro dell’attenzione.
Scambiamo alcune veloci battute e scherziamo un po’ nella stanchezza di una lunga giornata. Senza pensarci troppo interrompo nuovamente il silenzio chiedendo a Simon se posso fargli una domanda stupida, mi risponde: “Certo, volentieri!” con mezzo sorriso e un fare già divertito. “Ma tu Simon, sai nuotare? Siamo circondati dall’acqua e la domanda mi viene spontanea…” Mi risponde di sì, ma ammette che dopo alcune bracciate si sente sempre stanco e ha la sensazione di finire sott’acqua e non galleggiare. Non è dicerto la mia comfort-zone aggiunge, ridiamo ancora e intanto è arrivato il nostro taxi.
Mentre la luce si fa rosea, inizio a raccontargli qualcosa sulla laguna, sulle isole, sulle barche tipiche, si meraviglia come si muove tutto molto lentamente. Mi chiede se sotto le case ci sono veramente dei tronchi di albero, gli rispondo che sotto Venezia c’è un’immensa foresta. Una pausa ed entriamo nel Canal Grande, ammiriamo alcuni campanili, poi i palazzi affacciati sull’acqua. Teniamo il naso all’insù come quando si studiano le pieghe di una parete in montagna per una nuova via… le finestre, i tetti, i camini, il cielo.

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