A pochi mesi dalla mia nascita mio padre portò a casa dei suoi suoceri un cucciolo di collie bianco e nero, aveva pochi mesi e altrettante poche speranze di vita. Mia nonna prese la cagnolina e la chiamarono Teia.
Teia sarebbe poi diventata la mia migliore amica, quella con cui feci i primi passi aggrappata al suo pelo, quella che mi salvò dal finire sotto la macchina del vicino che sfrecciava sulla strada sterrata, quella con la quale ogni 14 agosto aspettavo l’alba del mio compleanno sotto il pergolato davanti a casa. Tutto questo fino ai miei 13 – suoi 14 anni.
Durante e dopo Teia i nonni hanno avuto tanti altri cani, io mi affezionavo sempre a quelli da caccia, in particolare ai segugi istriani. Fino a quando, all’insaputa di mia madre che “il cane assolutamente no, perde peli e sporca casa”, andai al canile e portai a casa Stella, un cane-divano in casa e slitta da traino fuori.

Inevitabilmente, in tutti i viaggi che abbiamo fatto, quando vedo un cane mi illumino e se passa qualche giorno senza che io non sia a contatto con un animale, inizio a sentire il bisogno di accarezzarne uno! In tanti Paesi in cui abbiamo viaggiato fino ad ora i cani sono spesso visti come cattivi, scacciati via con pietre e calci. In Perù, invece, i cani vengono trattati in modo rispettoso e sono di conseguenza buoni con le persone perché non ne hanno paura. I randagi delle città sono spesso e volentieri ciccioni grazie ai resti offerti dai ristoratori. Quelli di montagna, invece, sono un po’ più magri ed esili.


Blanca è una di questi. Vive entro i confini del Parco Nazionale del Huascarán, sulle Ande peruviane. Ha degli occhi dolci, è timida, pacifica ed estremamente fedele. Lei ed il suo amico Pedro si sono avvicinati a noi a poche ore dall’inizio del nostro trekking verso i 4750m di Punta Union, sbucati dal nulla, curiosa e diffidente lei, spavaldo e poco brillante lui. L’ho avvicinata per farmi annusare e darle una carezza, stabilito che tra di noi c’è un feeling, decidono di proseguire il cammino in compagnia. Sono elettrizzata, abbiamo due cani appresso, vacche e vitelli attorno che ruminano felici, cavalli selvaggi, asini liberi e picchi di oltre 6000m sopra le nostre teste. Sembra di essere in paradiso.
Arrivati sull’altopiano che sarà la base per la nostra prima notte, montiamo la tenda e iniziamo a fare da mangiare. A quanto pare siamo in quattro a cena, toccherà fare due buste di risotto anziché una!
Pedro, da buon ruffiano, si mette a cuccia davanti al pentolino con gli occhi socchiusi come se fosse appena stato bastonato, Blanca si sdraia poco distante e mantiene la sua dignità.
Inizia a piovere, il grande maschio alfa ha paura dei tuoni e pensa che abbaiandoci contro li scacci via. Per Pedro non mi preoccupo più di tanto, ha più grasso di Blanca che è magrolina con poco pelo. Porterei in tenda entrambi i cani ma so che Giacomo è sicuramente contrario alla cosa, non ci provo nemmeno. Almeno non oggi!
Mi convinco che sono come i cani del nonno, abituati a dormire fuori sempre.

Ci svegliamo all’alba, Blanca e Pedro sono appallottolati a forma di Jing e Jang di fianco alla nostra tenda. Li accarezzo, hanno il pelo caldo. Mi pare di capire che siamo un branco ora e che viaggeremo insieme per i prossimi giorni.
L’ascesa al passo è lunga, a tratti ripida e molto spesso manca l’aria. Ci fermiamo spesso, non abbiamo fretta e gli zaini sono pesanti. Blanca riposa ogni volta che ci fermiamo, riprende il cammino sempre ad una decina di passi di distanza. Ogni tanto ci sorpassa per farci vedere dove il sentiero è meno fangoso o più corto, si gira per vedere se ci siamo e se la stiamo seguendo. E’ proprio un’ottima guida, meglio di così non potevamo chiedere.
Ci sono gruppi di trekkers che arrivano dalla parte opposta alla nostra, tutti accarezzano Blanca e ogni volta penso “ecco, adesso andrà con loro, sicuramente avranno più cibo di noi.”
Invece no, al contrario di Pedro, lei resta al nostro fianco e rispetta i nostri tempi anche sull’ultimo tratto, il più faticoso, quello dove fai dieci passi e ti fermi per respirare, dieci passi e pausa… fino alla cima! Sento che mi sto affezionando troppo a questa cagnetta, il pensiero che dopo questa avventura non la rivedrò mai più mi lascia un nodo alla gola. Ma cerco di non pensarci adesso, siamo quasi a 4750m sopra il livello del mare.
A Punta Union siamo da soli, ci godiamo il silenzio, la vista e una merenda per tre. Chissà quante volte è stata quassù Blanca, eppure è partecipe alla nostra gioia di essere così alti. Del resto, ci siamo arrivati insieme.

Qui ogni sera piove, la tenda è ancora bagnata dalla notte scorsa e il cielo non promette bene. Bisogna scendere un pochino e impostare il campo. Troviamo un bel pianoro con vista, montiamo la tenda e la asciughiamo con l’asciugamano. Ci infiliamo subito dentro, questa sembra grandine, non pioggia. Nelle vicinanze non c’è nessun luogo asciutto e riparato per Blanca, devo convincerla ad entrare in tenda. Le barrette energetiche ai cereali le piacevano, provo con quelle. Le ho fatte a casa poco prima di partire, mai avrei pensato mi sarebbero servite per convincere un cane ad entrare in tenda. Piano piano Blanca capisce che la nostra “cuccia” è un’ottima opzione per passare la notte, si mette ai piedi del mio sacco a pelo e non si muoverà di un millimetro fino a l’indomani mattina.
Fuori grandina palline di un centimetro, andrà avanti per un po’, è con questa ninna nanna che ci addormentiamo.

L’ultimo giorno del nostro trekking veniamo svegliati da qualcuno che lecca la nostra tenda, una simpatica mucca ha capito che il sole non si farà vedere questa mattina e ha pensato bene di asciugarci la tenda! Blanca però ha paura delle vacche perché attaccano i cani, quindi come prima attività della giornata ci tocca scacciare la mandria.
Ce la prendiamo con comodo, sappiamo che è l’ultimo giorno, tra pochi chilometri siamo in valle e bisognerà salutare Blanca.
Durante questi chilometri la cagnetta ogni tanto sparisce, dentro di me penso “ok, non ci ha salutati, ma meglio così, non mi piacciono gli addii.” Invece poi sbuca fuori e capiamo che sta semplicemente evitando il fango facendo dei sentieri paralleli. Il nodo che ho in gola inizia a sciogliersi, comincio a piangere come una fontana, il mio carattere sensibile non mi è per niente d’aiuto in questa situazione.
Piango fino al cartello che ci ringrazia della nostra visita al Parco Nazionale del Huascarán, scattiamo una foto in cui cerco di tenermi il nodo in gola. Blanca si siede su un sasso poco distante dal cartello, credo sia un sasso strategico perché da lì riesce a vedere la staccionata d’ingresso (o di uscita) del Parco.
Ed è proprio su quel sasso che la ricordo, alla fine del nostro cammino, che ci guarda scendere ed uscire dal Parco Nazionale, la guardo anche io, la ringrazio per la fedele compagnia e inizio a piangere.
Continuo a piangere e a non pensare ad altro per tutto il giorno, ed anche il giorno dopo e ancora adesso se ci penso piango. Ricordo che la sensazione è più o meno quella di quando hai sedici anni e ti lasci con il primo fidanzatino e soffri in modo struggente ed irrazionale.
Ci sono sere che sono nel mio comodo e caldo letto e penso a lei, sperando sia al sicuro e abbia trovato persone gentili con le quali condividere l’ennesima ascesa a Punta Union, qualche barretta energetica e chissà, magari una bella tenda nella quale rifugiarsi.

 

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