È inutile nascondere l’emozione che abbiamo provato entrando in Iran a piedi, dopo aver fatto l’intero tragitto da Istanbul via terra passando per la Turchia, la Georgia e l’Armenia. Sapevamo sarebbe stato diverso, che non avremmo capito una singola parola tanto per cominciare, che ci sarbbero state nuove regole da rispettare, e non avremmo trovato facilmente la carta igienica. Ma queste sono state le regole del gioco per gran parte del viaggio.

Entrare in Iran a piedi a Giugno non è una buona idea. Un lungo ponte in cemento sotto un sole cocente è l’unico punto di contatto tra l’Armenia e l’Iran. I Paesi sono separati dal fiume Aras, uno dei fiumi più lunghi del Caucaso, e storicamente importante sia in tempi antichi che in tempi moderni diventando la linea di divisione di diversi Paesi, segnando il confine tra l’Impero Persiano e l’Impero Russo, poi l’Unione Sovietica, ed oggi tra l’Iran, l’Azerbaijan e l’Armenia.

Entrare in Iran richiede tempo, i controlli alla frontiera sono lenti, ma tutti sorridono e sono felici di accogliere gli stranieri. Non molti decidono di entrare dall’Armenia, ma un viaggiatore o due al giorno probabilmente ci passa.

Fare autostop in Iran si dimostrò incomprensibile fin dall’inizio. Alcune persone ci diedero dei passaggi quando nemmeno ne eravamo in cerca, ma la maggior parte delle persone ci chiese soldi ed infatti capimmo presto che ogni macchina può diventare un taxi condiviso se l’autista lo decide. I costi sono ridotti e non possiamo lamentarci.

Nel pomeriggio raggiungemmo Tabriz per trascorrere due giorni nello splendido bazar della città vecchia, chilometri di vicoli e piccole piazzette che straripano di frutta, pistacchi, tappeti e gioielli. Conoscemmo un anziano signore che parlava un inglese scolastico pieno di espressione datate. Ci portò ai caffè fumosi della città, promettendo di regalarci due monete con ancora l’effige di Shar Reza, parlando costantemente a bassa voce e guardando intorno tra i tavoli affollati per assicurarsi che nessuno tra i fumatori di narghilè potesse comprendere la nostra conversazione. Purtroppo il giorno successivo non riusciamo a rivederlo.

Presto cominciammo a stancarci del via vai di persone, del rumore, delle grida incessanti del mercato, e del traffico impazzito. Volemmo rifugiarci nelle montagne a sud della città. Tabriz è la capitale della Provincia dell’Azerbaijan Orientale, gli abitanti sono per lo più azeri e parlano azero, simile al Turco, pertanto potemmo comunicare anche se ci fu impossibile spiegare il concetto dell’autostop. Ma tutto si può contrattare, e così riuscimmo a trovare un passaggio ad un buon prezzo che ci portò fuori città.

Nel primo pomeriggio arrivammo a Kandovan, un villaggio nelle montagne dove le case sono scavate nella roccia vulcanica, molto simile alla Cappadocia, ma con una differenza fondamentale: mentre in Cappadocia quasi tutte le grotte sono state trasformate in alberghi e musei, qui le persone vivono ancora nelle case ricavate nalla roccia.

Il paese è ovviamente anche una destinazione turistica per i locali, ed infatti incontriamo molti studenti desiderosi di conoscerci, le ragazze ci sommergono di domande e ci danno anche la mano, cosa che ci era stato detto non sarebbe mai successo in Iran.

Quella sera salimmo su di una collina antistante il paese e montammo la tenda mentre nuvole pesanti si raccoglievano in cielo. Tre generazioni di contadini: nonno, padre e figlio, con i loro asini, ci offrirono il tè in cima ad una piccola altura. Versandoci uno aromatizzato alla cannella in tazze di metallo bruciato. Imparammo a bere il tè alla persiana, tendo i cubetti grezzi di zucchero tra i denti mentre lo si sorseggia, una tradizione iniziato con l’imposizione di una fatwa sullo zucchero da parte di un Imam nel 18° secolo per contrastare l’acquisizione del monopolio dello zucchero da parte della monarchia Belga. Ma privare i Persiani dello zucchero nel tè si dimostrò impossibile, e perciò pochi anni più tardi una contro-fatwa venne introdotto che consentì l’uso dello zucchero, con la condizione che non venisse mescolato direttamente con il tè.

Quella notte ci ritrovammo a subire la prima di una serie di temporali terrificanti che ci colpiscono ogni volta in cui campeggiavamo in Iran. Lampi di fulmini direttamente sopra le nostre teste illuminavan il villaggio, creando giochi di ombre tra le torri di roccia e le case. Una volta passata la tempesta, passammo il resto della notte accerchiati da un branco di cani che girava intorno alla nostra tenda abbaiando incessantemente finché non vennero cacciati dal ritorno dei contadini la mattina seguente.

Da Kendovan riprendemmo la strada con più fortuna nell’autostop. Ci fissammo l’obiettivo di provare a seguire la stessa via intrapresa da Robert Byron nel suo viaggio raccontato nella Via per l’Oxiana. Dal lago di Urmiah lungo la strada per Maragheh per visitare l’osservatorio astronomico, uno dei più importanti del medioevo, costruito da astronomi Persiani nel 13° secolo. A Maragheh venimmo ospitati da un giovane ciclista e proprietario di un piccolo negozio di materiale da montagna. Appena entrati, chiuse la bottega e ci portò a fare un giro per la città con la sua auto. Ci unimmo a un gruppi di amici e ci condussero per le strade di Maragheh, per festeggiare il compleanno di Imam Maghdi, il dodicesimo Imam dei Sciiti, mentre per tutta la città i bambini distribuivano succhi di frutta e caramelle. Riuscimmo poco dopo a fuggire dai festeggiamenti e fummo accompagnati nella campagna fuori città tra frutteti di susine verdi, tipiche dell’Iran. Le strade sterrate erano delimitate da basse mura in mattoni di fango, raggiungemmo un’apertura accanto ad un cimitero. Qui venimmo portati all’ingresso di una grotta, un antico tempio di Mitra, che secondo i nostri amici era un luogo di adorazione del sole in tempi pre-islamici.

Quella notte venimmo ospitati nella casa di famiglia del nostro amico dove gustammo la nostra prima vera cena Iraniana, seduti e semisdraiati tra i cuscini sul pavimento con il cibo apparecchiato a terra. Mangiamo riso Persiano con il Tah-dig (crosta dorata) e pollo. Si sentiva BBC news Iran provenire dalla grande tv, che dava la notizia dell’incontro a Vienna tra i diplomatici Iraniani, Europei ed Americani per discutere della fine dell’embargo.

La mattina successiva Mehran ci aiutò a fermare un lento camion arancione che viaggiava verso Shiraz. Restammo a bordo del camion per gran parte della giornata, attraversando l’altopiano secco del nord-ovest dell’Iran fino a Qazvin, antica capitale della Persia sotto la dinastia Safavida nel 16° secolo. Il viaggio fu lento e scomodo, e reso ancora più pesante dall’impossibilità di comunicare con l’autista il cui stato d’animo sembrava cambiare in continuazione. Finalmente raggiungemmo Qazvin nel tardo pomeriggio. Trovammo una città semi-deserta poiché la maggior parte degli abitanti si trova a passare il lungo finesettimana nelle montagne dell’Elburz per festeggiare la più lunga vacanza dell’anno dovuta alla concomitanza del compleanno di Imam Mahdi, seguito dal finesettimana (giovedì e venerdì), e concluso dall’anniversario della morte di Ayatollah Khomeini. Qualsiasi fossero le opinioni politiche e religiose degli iraniani, ognuno di loro stava cercando un modo per fuggire dal caldo soffocante della città e rifugiarsi nell’aria fresca delle montagne.
Per noi era arrivato il momento di dormire.

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